Un documento ambizioso ma di fatto
inconcludente. Questo in estrema sintesi il giudizio politico che mi sento di
esprimere sul testo prodotto dalla Commissione parlamentare che si è occupata
di stilare una prima bozza della Dichiarazione dei diritti in Internet -
iniziativa fortemente incoraggiata dal Presidente della Camera Laura Boldrini,
che presiede la Commissione Parlamentare. Il lavoro della Commissione si è
articolato in sole tre sedute (così si evince dalla documentazione disponibile on line), ma a prescindere dal numero
delle stesse verrebbe da dire che “la montagna ha partorito il topolino”. La
Carta dei diritti nulla aggiunge di nuovo rispetto a quanto già ampiamente
affermato a livello internazionale sia da un punto di vista normativo che giurisprudenziale.
Ma quel che più sconcerta è la grande confusione che caratterizza il documento
normativo, che confonde tra diritti, principi e interessi. Con riguardo ai
diritti in particolare non si capisce se e dove vi sia una differenza, anche
quanto alle modalità di tutela, tra diritti tradizionali e nuovi diritti
specifici per il mondo del web. L’oggetto della carta è dunque totalmente
indefinito o confusionario, così come assolutamente vago è il ruolo che la
Dichiarazione intende assumere all’interno del sistema normativo italiano. Il
termine “Dichiarazione” è un termine solenne e impegnativo, che farebbe pensare
a un documento di rango costituzionale (ma che di fatto costituzionale non è!).
In vari passaggi dei resoconti delle sedute si legge che il testo avrebbe
addirittura ambizioni sovranazionali, dovendo costituire una base di Carta dei
diritti di Internet da sottoporre addirittura a livello europeo.
Tralasciamo di esaminare questo
aspetto - anche se fa sospettare che l’iniziativa sia un po’ fine a se stessa -
per entrare nel merito dello spirito e dei contenuti della carta. Il giudizio
rimane un giudizio del tutto negativo ed evidenzia ancora una volta il
fallimento di politiche di iper-regolazione e di ipertrofia normativa. Ritengo
che vi sia necessità in generale di poche, semplici e chiare regole e che
l’assenza di articolate discipline normative in determinati ambiti della vita
sociale non sia affatto un male, tutt’altro. E proprio il mondo di Internet è
un mondo che per sua stessa natura richiede poche, semplici, chiare e
flessibili regole. E ciò è dovuto proprio alla peculiarità della rete,
caratterizzata da decentramento anziché accentramento. Non voglio sostenere che
la Politica non debba occuparsi di Internet ma che, se ritiene di farlo, lo dovrebbe
fare con criterio. Ma soprattutto, prima di istituire qualsiasi commissione e
di concentrare (inutilmente) forze nella redazione di testi di legge, sarebbe
forse il caso che il legislatore, con un atto di umiltà, si chiedesse se
davvero un suo intervento è necessario. Nel caso di specie, a Internet non
serve una Carta dei Diritti. I politici si mettano il cuore in pace.
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