sabato 15 novembre 2014

Unioni Civili: sì o no? alcuni (disordinati e confusi) spunti di riflessione

Mentre sto scrivendo queste riflessioni, ancora incomplete e che necessitano di ulteriori approfondimenti (su cui pertanto mi riservo di ritornare), sto ascoltando una puntata de La versione di Oscar su Radio 24 dedicata appositamente al tema - puntata del 20 ottobre 2014. Il punto di partenza della discussione è la decisione di alcuni sindaci, tra cui quello di Roma, di trascrivere matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero. Decisione che, come dimostra il conflitto con i prefetti, si pone in contrasto con la legge italiana. La Corte Costituzionale con due sentenze, una del 2010 e l'altra del 2014, (138/2010 e 170/2014), pur rinviando alle scelte (di dettaglio) del Parlamento, ha affermato che il riconoscimento dell'unione di fatto per omossessuali è un diritto che rientra nell'articolo 2 della Costituzione. Il concetto di "famiglia" come elaborato dai costituenti presupponeva un'idea di famiglia come eterosessuale. Sta al Parlamento, eventualmente, intervenire. Resta il fatto che, nonostante il principio affermato dalla Corte, i Sindaci che trascrivono starebbero consapevolmente in ogni caso violando la legge (caso di disobbedienza civile). Le firme apposte dai sindaci, come notato anche dal giurista ospite della trasmissione di Giannino, non avevano ovviamente alcuna efficacia giuridica. Si tratta ovviamente di una provocazione, volta a stimolare una riflessione dal basso sul tema.
Riflessione che ritengo debba essere fatta serenamente, senza pregiudizi e con obiettività. Qui di seguito alcune mie considerazioni, forse ancora un po' confuse e su cui sicuramente mi riservo di tornare, però il tema è complesso e non ho la pretesa di liquidarlo in un post.
 
Personalmente, non vedo motivi ostativi al riconoscimento delle unioni omosessuali. Ritengo miope un legislatore che si ostini a non voler constatare l'esistenza del fenomeno. Ritengo ottuso un legislatore che non voglia riconoscere diritti a persone che hanno deciso di condurre una vita insieme, per il sol fatto che queste persone sarebbero dello stesso sesso. Sarebbe una palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Sarebbe di fatto una ingiusta imposizione di una morale da parte dello Stato all'intera popolazione. Sarebbe altamente lesivo della diversità di idee, sensibilità, visioni del mondo e della società. Sì alle unioni civili, dunque. Perché lasciare ad esempio senza tutela patrimoniale (perché poi è anche di questi problemi concreti che si deve parlare) Caio che ha vissuto per anni assieme a Tizio allo stesso modo in cui Mevia e Sempronio hanno fatto?
Ps. parlo qui di unioni civili, limitandomi al caso delle unioni omo, ci sono poi altre situazioni su cui si dovrebbe ragionare ma è meglio per il momento tenere i piani separati.
 
Mi si dirà che l'unione tra Mevia e Sempronio, a differenza di quella di Caio e Tizio, essendo tra due persone di sesso diverso è un'unione che potenzialmente è orientata alla prolificazione. Ma questo significherebbe presupporre che affinché vi sia famiglia vi debbano essere per forza dei figli! E allora, paradossalmente, non dovremmo considerare famiglie le unioni di un uomo e una donna che, per varie ragioni, non possono avere figli. Assolutamente ritengo che l'idea di famiglia/di nucleo famigliare non può implicare necessariamente la presenza di figli. Non voglio qui affrontare il tema complesso delle adozioni da parte di coppie omosessuale. E ritengo che il tema delle unioni civili possa essere serenamente affrontato proprio sganciandolo, almeno provvisoriamente, da quello dei figli. Perché probabilmente si farebbe il gioco di chi a tutti i costi si ostina a non voler riconoscere diritti alle unioni civili tra le persone dello stesso sesso.
 
E tuttavia il tema dei figli ritorna nel momento in cui ci chiediamo cosa sia il Matrimonio.
 
"Unioni civili": una riflessione andrebbe fatta anche su questa espressione. Ovviamente, è chiaro a tutti che nessuno voglia alludere a unioni incivili. Quel che civili sta a designare è che si tratta di unioni regolate dallo Stato e che nulla hanno a che fare con quelle unioni che hanno riconoscimento anche da parte dell'ordinamento morale. E si parla spesso di unioni civili contrapposte a matrimonio.
Anche qui allora forse varrebbe la pena far qualche riflessione.
 
Ci si deve chiedere cioè se l'attuale concezione di "matrimonio" inteso come unione tra due persone volta alla procreazione non sia il prodotto di un procedimento evolutivo. Il matrimonio concepito in questa accezione è il frutto di una determinata cultura.
È ciò che dice chiaramente, fin dalla prima edizione, il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), dove alla voce matrimonio è riportata una citazione tratta dal Volgarizzamento della somma Pisanella detta Maestruzza: «Matrimonio è una congiunzione dell’huomo, e della donna, la quale ritiene una usanza di vita, la quale dividere non si può. E perchè nel matrimonio apparisce più l’uficio d’esso nella madre, che nel padre, perciò è determinato più dalla madre, che dal padre. Matrimonio, tanto è a dire, come uficio di madre». Una citazione ancora più antica, dal libro XIX dei Contra Faustum Manichaeum libri XXXIII di sant’Agostino (354-430) e riportata dal Thesaurus Linguae Latinae recita: «Matrimonium quippe ex hoc appellatum est, quod non ob aliud debeat femina nubere, quam ut mater fiat», ovvero ‘il matrimonio è senza dubbio chiamato così perché la donna si deve sposare non per altro motivo che per diventare madre’.
 
Ho già discusso sopra, sia pur come semplice spunto di riflessione, del caso in cui una coppia etero non possa avere figli. Il matrimonio sarebbe allora da annullare? Perderebbero costoro i diritti di marito e moglie?
 
Io credo che una soluzione ragionevole per affrontare in maniera seria e senza pregiudizi (e interferenze con concezioni morali) sia quello di una bella pulizia linguistica.
Distinguerei tra matrimonio (civile) e matrimonio religioso, ognuno con le sue regole. Nel matrimonio civile vale anche l'unione omo, in quello religioso può non valere. Il matrimonio religioso può a certe condizioni essere riconosciuto e produrre effetti nell'ordinamento statale.
 
In questo modo potremmo porre la parola "fine" a questa disputa meramente lessicale tra matrimoni e unioni civili: come se si volesse intendere che le unioni etero sono unioni "di serie A" e quelle omo "unioni di serie B".
 
In questo modo riaffermeremmo con forza una divisione chiara e netta (che nel dibattito attuale in Italia ogni tanto pare offuscata) tra due ordinamenti, quello statale e quello morale.
Il primo deve garantire diritti e tutele a tutte le situazioni, comprese quella delle coppie omo, e ciò in nome dei principi di pluralismo, libertà e uguaglianza.
Il secondo invece può anche scegliere di operare particolari restrizioni, essendo del resto un ordinamento a cui spontaneamente si sceglie di aderire. Ricordiamoci, del resto, che per quanto prevalente, la morale cattolica non è l'unica morale e che lo Stato Italiano deve garantire pieno rispetto a qualsiasi forma di convinzione etica.
 
 

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