martedì 26 marzo 2013


riporto da http://archiviostorico.corriere.it/2001/maggio/07/Liberali_destra_liberali_sinistra_co_0_0105077393.shtml


LA STANZA DI MONTANELLI

Liberali di destra e liberali di sinistra

La stanza di MONTANELLI Liberali di destra e liberali di sinistra Caro Montanelli, L e sarei grato se fosse così gentile da spiegare a me e ai lettori, in una delle prossime «stanze», qual è differenza che intercorre tra un liberale di destra e un liberale di sinistra. Sui libri di storia queste parole si incontrano molto spesso ma io, sinceramente, non ho ancora capito in che cosa effettivamente consista tale differenza: sono sicuro che lei non solo conosce il significato di questi termini, ma mi saprà indicare quali effetti pratici hanno prodotto e producono nella società queste diverse scelte ideologiche. Salvatore Signoretta salvatore signoretta@tin.it Caro Signoretta, P oiché di domande come la sua me ne affiorano, nelle lettere da cui sono ingolfato, quasi ogni giorno, cercherò di darvi una risposta nei termini più sintetici e concreti. Cominiciamo intanto col dire che, prima che una scelta ideologica, quella liberale è una scelta di civiltà: nel senso che ha diritto a considerarsi e ad essere considerato liberale chiunque rispetta le opinioni diverse ed anche opposte alle sue. Ecco perché si può essere liberali anche militando sotto altre bandiere: quelle per esempio socialiste o cattoliche: basta che i loro militanti non pretendano di essere depositari di Verità assolute che escludono tutte le altre e d' imporre quella propria con gli strumenti del potere: la censura e il resto. Ecco il punto in cui il liberalismo si differenzia dalla democrazia che con la sua religione della maggioranza rischia molto spesso di diventare, in nome di essa, dispotica. L' oltranzista della democrazia crede che il numero sia il metro di tutte le cose e abbia il potere di rendere buone anche quelle cattive. Il liberale, quello vero, non rinunzia affatto a giudicarle secondo il suo metro morale, anche se riconosce il diritto della maggioranza a realizzare le sue volontà. Purché rispetti quello della minoranza e, se del caso, a condannarle, sempre - si capisce - coi mezzi legali della critica e della persuasione. Il democratico, quando ha il numero, crede di avere tutto e di essere autorizzato a sovvertire, in nome di esso, anche la legalità. Fu la democrazia dei giacobini, non certamente il liberalismo dei girondini, a inventare la ghigliottina. Non dimentichiamolo. Stabiliamo dunque il punto fondamentale. L' ideale della democrazia, in nome della maggioranza, è l' eguaglianza, cioè l' abolizione, anche con la violenza, di qualsiasi distinzione fra persone, ceti, qualità, meriti e colpe. L' ideale del liberalismo è, come dice la stessa parola, la libertà, perché solo nella libertà, cioè in una condizione che lo affranchi da qualsiasi vincolo e controllo, l' uomo trova lo stimolo a dare il meglio di sé per arrivare più in alto che può sia socialmente sia economicamente. Ma è a questo il punto che prendono corpo due scuole di pensiero entrambe liberali, ma secondo una metodica diversa, anzi opposta. Questo conflitto trovò il suo campo di sperimentazione in Inghilterra, nel momento in cui scoppiò il contrasto tra il liberalismo tradizionale, quello conservatore (Tory) e quello riformista (Whig), ingenerato dalla rivoluzione industriale con le sue masse operaie sfruttate fino al midollo in nome della libertà di una concorrenza che si esercitava soprattutto sulla riduzione dei costi, cioè dei salari. Attenti, dicevano i Whig, una libertà senza freni creerà una società di pochi privilegiati intenti a scannarsi tra loro in una crescente moltitudine di affamati che alla fine (e questa era infatti la previsione di Marx) s' impadroniranno dei mezzi di produzione - macchine e capitali - per gestirseli in proprio. Di qui, la necessità di una legislazione «sociale» che, pur conservando al singolo il diritto a far valere i propri meriti, lo costringa a rispettare quelli dei suoi sottoposti, collaboratori e maestranze. Sulla fine dell' Ottocento e nei primi decenni del Novecento questo conflitto scoppiò anche in Italia, e fu quello che si accese fra i liberal-conservatori alla Crispi, Di Rudinì, Salandra ecc. che volevano uno Stato risolutamente garante dei diritti del singolo e dei suoi privilegi, e il liberal-riformista Giolitti, che dette alle masse popolari, fin allora tenute fuori dal gioco democratico, i due strumenti per entrarci: il diritto di voto e quello di sciopero. Naturalmente questa non è che una sinossi grossolana e sommaria, come tutte le sinossi, di un processo che richiederebbe ben altri approfondimenti. Ma spero che basti per far capire a lei, e a quanti si pongono la sua stessa domanda, in cosa consiste, sostanzialmente, la differenza fra il liberalismo di destra (Crispi) e quello di sinistra (Giolitti).

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